Catone in Utica, Parigi, Hérissant, 1780

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Sala d’armi.
 
 CATONE, MARZIA, ARBACE
 
 MARZIA
 Perché sì mesto, o padre? Oppressa è Roma,
 se giunge a vacillar la tua costanza.
 Parla; al cor d'una figlia
 la sventura maggiore
5di tutte le sventure è il tuo dolore.
 ARBACE
 Signor, che pensi? In quel silenzio appena
 riconosco Catone. Ov'è lo sdegno
 figlio di tua virtù? Dov'è il coraggio?
 Dove l'anima intrepida e feroce?
10Ah, se del tuo gran core
 l'ardir primiero è in qualche parte estinto,
 non v'è più libertà, Cesare ha vinto.
 CATONE
 Figlia, amico, non sempre
 la mestizia, il silenzio
15è segno di viltade; e agli occhi altrui
 si confondon sovente
 la prudenza e il timor. Se penso e taccio,
 taccio e penso a ragion. Tutto ha sconvolto
 di Cesare il furor. Per lui Farsaglia
20è di sangue civil tepida ancora;
 per lui più non si adora
 Roma, il Senato, al di cui cenno un giorno
 tremava il Parto, impallidia lo Scita;
 da barbara ferita
25per lui sugli occhi al traditor d'Egitto
 cadde Pompeo trafitto; e solo in queste
 d'Utica anguste mura
 mal sicuro riparo
 trova alla sua ruina
30la fuggitiva libertà latina.
 Cesare abbiamo a fronte
 che d'assedio ne stringe; i nostri armati
 pochi sono e mal fidi. In me ripone
 la speme che le avanza
35Roma che geme al suo tiranno in braccio;
 e chiedete ragion s'io penso e taccio?
 MARZIA
 Ma non viene a momenti
 Cesare a te?
 ARBACE
                          Di favellarti ei chiede;
 dunque pace vorrà.
 CATONE
                                      Sperate invano
40che abbandoni una volta
 il desio di regnar. Troppo gli costa,
 per deporlo in un punto.
 MARZIA
 Chi sa; figlio è di Roma
 Cesare ancor.
 CATONE
                            Ma un dispietato figlio
45che serva la desia, ma un figlio ingrato
 che, per domarla appieno,
 non sente orror nel lacerarle il seno.
 ARBACE
 Tutta Roma non vinse
 Cesare ancora. A superar gli resta
50il riparo più forte al suo furore.
 CATONE
 E che gli resta mai?
 ARBACE
                                       Resta il tuo core.
 Forse più timoroso
 verrà dinanzi al tuo severo ciglio
 che all'Asia tutta ed all'Europa armata.
55E, se dal tuo consiglio
 regolati saranno, ultima speme
 non sono i miei Numidi. Hanno altre volte
 sotto duce minor saputo anch'essi
 all'aquile latine in questo suolo
60mostrar la fronte e trattenere il volo.
 CATONE
 M'è noto; e il più nascondi
 tacendo il tuo valor, l'anima grande
 a cui, fuor che la sorte
 d'esser figlia di Roma, altro non manca.
 ARBACE
65Deh tu, signor, correggi
 questa colpa non mia. La tua virtude
 nel sen di Marzia io da gran tempo adoro;
 nuovo legame aggiungi
 alla nostra amistà; soffri ch'io porga
70di sposo a lei la mano;
 non mi sdegni la figlia e son romano.
 MARZIA
 Come! Allor che paventa
 la nostra libertà l'ultimo fato,
 che a' nostri danni armato
75arde il mondo di bellici furori,
 parla Arbace di nozze e chiede amori?
 CATONE
 Deggion le nozze, o figlia,
 più al pubblico riposo
 che alla scelta servir del genio altrui.
80Con tal cambio d'affetti
 si meschiano le cure. Ognun difende
 parte di sé nell'altro; onde muniti
 di nodo sì tenace
 crescon gl'imperi e stanno i regni in pace.
 ARBACE
85Felice me, se approva
 al par di te con men turbate ciglia
 Marzia gli affetti miei.
 CATONE
                                            Marzia è mia figlia.
 MARZIA
 Perché tua figlia io sono e son romana,
 custodisco gelosa
90le ragioni, il decoro
 della patria e del sangue. E tu vorrai
 che la tua prole istessa, una che nacque
 cittadina di Roma e fu nudrita
 all'aura trionfal del Campidoglio,
95scenda al nodo d'un re?
 ARBACE
                                              (Che bell'orgoglio!)
 CATONE
 Come cangia la sorte
 si cangiano i costumi. In ogni tempo
 tanto fasto non giova; e a te non lice
 esaminar la volontà del padre.
100Principe, non temer; fra poco avrai
 Marzia tua sposa. In queste braccia intanto (Catone abbraccia Arbace)
 del mio paterno amore
 prendi il pegno primiero e ti rammenta
 ch'oggi Roma è tua patria. Il tuo dovere,
105or che romano sei,
 è di salvarla o di cader con lei.
 
    Con sì bel nome in fronte
 combatterai più forte;
 rispetterà la sorte
110di Roma un figlio in te.
 
    Libero vivi; e, quando
 tel nieghi il fato ancora,
 almen come si mora
 apprenderai da me. (Parte)
 
 SCENA II
 
 MARZIA e ARBACE
 
 ARBACE
115Poveri affetti miei,
 se non sanno impetrar dal tuo bel core
 pietà, se non amore.
 MARZIA
 M'ami, Arbace?
 ARBACE
                                Se t'amo! E così poco
 si spiegano i miei sguardi
120che, se il labbro nol dice, ancor nol sai?
 MARZIA
 Ma qual prova finora
 ebbi dell'amor tuo?
 ARBACE
                                       Nulla chiedesti.
 MARZIA
 E s'io chiedessi, o prence,
 questa prova or da te?
 ARBACE
                                           Fuor che lasciarti,
125tutto farò.
 MARZIA
                      Già sai
 qual di eseguir necessità ti stringa,
 se mi sproni a parlar.
 ARBACE
                                          Parla; ne brami
 sicurezza maggior? Su la mia fede,
 sul mio onor t'assicuro;
130il giuro ai numi, a que' begli occhi il giuro.
 Che mai chieder mi puoi? La vita? Il soglio?
 Imponi, eseguirò.
 MARZIA
                                    Tanto non voglio.
 Bramo che in questo giorno
 non si parli di nozze; a tua richiesta
135il padre vi acconsenta;
 non sappia ch'io l'imposi e son contenta.
 ARBACE
 Perché voler ch'io stesso
 la mia felicità tanto allontani?
 MARZIA
 Il merto di ubbidir perde chi chiede
140la ragion del comando.
 ARBACE
                                            Ah so ben io
 qual ne sia la cagion. Cesare ancora
 è la tua fiamma. All'amor mio perdona
 un libero parlar. So che l'amasti;
 oggi in Utica ei viene; oggi ti spiace
145che si parli di nozze; i miei sponsali
 oggi ricusi al genitore in faccia;
 e vuoi da me ch'io t'ubbidisca e taccia?
 MARZIA
 Forse i sospetti tuoi
 dileguare io potrei ma tanto ancora
150non deggio a te. Servi al mio cenno e pensa
 a quanto promettesti, a quanto imposi.
 ARBACE
 Ma poi quegli occhi amati
 mi saranno pietosi o pur sdegnati?
 MARZIA
 
    Non ti minaccio sdegno,
155non ti prometto amor.
 Dammi di fede un pegno,
 fidati del mio cor;
 vedrò se m'ami.
 
    E di premiarti poi
160resti la cura a me
 né domandar mercé,
 se pur la brami. (Parte)
 
 SCENA III
 
 ARBACE
 
 ARBACE
 Che giurai! Che promisi! A qual comando
 ubbidir mi conviene! E chi mai vide
165più misero di me? La mia tiranna
 quasi sugli occhi miei si vanta infida
 ed io l'armi le porgo, onde m'uccida.
 
    Che legge spietata,
 che sorte crudele
170d'un'alma piagata,
 d'un core fedele
 servire, soffrire,
 tacere e penar!
 
    Se poi l'infelice
175domanda mercede,
 si sprezza, si dice
 che troppo richiede,
 che impari ad amar. (Parte)
 
 SCENA IV
 
  Parte interna delle mura di Utica, con porta della città in prospetto, chiusa da un ponte che poi si abbassa.
 
 CATONE, poi CESARE e FULVIO
 
 CATONE
 Dunque Cesare venga. Io non intendo
180qual cagion lo conduca. È inganno? È tema?
 No, d'un romano in petto
 non giunge a tanto ambizion d'impero
 che dia ricetto a così vil pensiero. (Cala il ponte e si vede venir Cesare e Fulvio)
 CESARE
 Con cento squadre e cento
185a mia difesa armate in campo aperto
 non mi presento a te. Senz'armi e solo,
 sicuro di tua fede,
 fra le mura nemiche io porto il piede;
 tanto Cesare onora
190la virtù di Catone emulo ancora.
 CATONE
 Mi conosci abbastanza, onde in fidarti
 nulla più del dovere a me rendesti.
 Di che temer potresti?
 In Egitto non sei. Qui delle genti
195si serba ancor l'universal ragione;
 né vi son Tolomei dov'è Catone.
 CESARE
 È ver, noto mi sei. Già il tuo gran nome
 fin da' prim'anni a venerare appresi;
 in cento bocche intesi
200della patria chiamarti
 padre e sostegno e delle antiche leggi
 rigido difensor. Fu poi la sorte
 prodiga all'armi mie del suo favore;
 ma l'acquisto maggiore,
205per cui contento ogni altro acquisto io cedo,
 è l'amicizia tua; questa ti chiedo.
 FULVIO
 E il Senato la chiede; a voi m'invia
 nuncio del suo volere. È tempo ormai
 che da' privati sdegni
210la combattuta patria abbia riposo.
 Scema d'abitatori
 è già l'Italia afflitta; alle campagne
 già mancano i cultori;
 manca il ferro agli aratri; in uso d'armi
215tutto il furor converte; e, mentre Roma
 con le sue mani il proprio sen divide,
 gode l'Asia incostante, Africa ride.
 CATONE
 Chi vuol Catone amico
 facilmente l'avrà; sia fido a Roma.
 CESARE
220Chi più fido di me? Spargo per lei
 il sudor da gran tempo e il sangue mio.
 Son io quegli, son io che sugli alpestri
 gioghi del Tauro, ov'è più al ciel vicino,
 di Marte e di Quirino
225fe' risonar la prima volta il nome.
 Il gelido Britanno
 per me le ignote ancora
 romane insegne a venerare apprese.
 E dal clima remoto
230se venni poi...
 CATONE
                             Già tutto il resto è noto.
 Di tue famose imprese
 godiamo i frutti; e in ogni parte abbiamo
 pegni dell'amor tuo. Dunque mi credi
 mal accorto così ch'io non ravvisi
235velato di virtude il tuo disegno?
 So che il desio di regno,
 che il tirannico genio, onde infelici
 tanti hai reso fin qui...
 FULVIO
                                            Signor, che dici?
 Di ricomporre i disuniti affetti
240non son queste le vie; di pace io venni,
 non di risse ministro.
 CATONE
                                          E ben si parli.
 (Udiam che dir potrà).
 FULVIO
                                             (Tanta virtude
 troppo acerbo lo rende). (A Cesare)
 CESARE
 (Io l'ammiro però, se ben m'offende). (A Fulvio)
245Pende il mondo diviso
 dal tuo, dal cenno mio; sol che la nostra
 amicizia si stringa, il tutto è in pace.
 Se del sangue latino
 qualche pietà pur senti, i sensi miei
250placido ascolterai.
 
 SCENA V
 
 EMILIA e detti
 
 EMILIA
                                    Che veggio, o dei!
 Questo è dunque l'asilo
 ch'io sperai da Catone? Un luogo istesso
 la sventurata accoglie
 vedova di Pompeo col suo nemico!
255Ove son le promesse? (A Catone)
 Ove la mia vendetta?
 Così sveni il tiranno?
 Così d'Emilia il difensor tu sei?
 Fin di pace si parla in faccia a lei?
 FULVIO
260(In mezzo alle sventure
 è bella ancor).
 CATONE
                             Tanto trasporto, Emilia,
 perdono al tuo dolor. Quando l'obblio
 delle private offese
 util si rende al comun bene, è giusto.
 EMILIA
265Qual utile, qual fede
 sperar si può dall'oppressor di Roma?
 CESARE
 A Cesare oppressor! Chi l'ombra errante
 con la funebre pompa
 placò del gran Pompeo? Forse ti tolsi
270armi, navi e compagni? A te non resi
 e libertade e vita?
 EMILIA
                                    Io non la chiesi.
 Ma già che vivo ancor, saprò valermi
 contro te del tuo don. Finché non vegga
 la tua testa recisa, e terre e mari
275scorrerò disperata; in ogni parte
 lascierò le mie furie; e tanta guerra
 contro ti desterò che non rimanga
 più nel mondo per te sicura sede.
 Sai che già tel promisi; io serbo fede.
 CATONE
280Modera il tuo furor.
 CESARE
                                       Se tanto ancora
 sei sdegnata con me, sei troppo ingiusta.
 EMILIA
 Ingiusta! E tu non sei
 la cagion de' miei mali? Il mio consorte
 tua vittima non fu? Forse presente
285non ero allor che dalla nave ei scese
 sul picciolo del Nilo infido legno?
 Io con quest'occhi, io vidi
 splender l'infame acciaro
 che il sen gli aperse e impetuoso il sangue
290macchiar fuggendo al traditore il volto.
 Fra' barbari omicidi
 non mi gittai, che questo ancor mi tolse
 l'onda frapposta e la pietade altrui;
 né v'era, il credo appena,
295di tanto già seguace mondo un solo
 che potesse a Pompeo chiuder le ciglia;
 tanto invidian gli dei chi lor somiglia!
 FULVIO
 (Pietà mi desta).
 CESARE
                                  Io non ho parte alcuna
 di Tolomeo nell'empietade. Assai
300la vendetta ch'io presi è manifesta.
 E sa il ciel, tu lo sai
 s'io piansi allor su l'onorata testa.
 CATONE
 Ma chi sa se piangesti
 per gioia o per dolor? La gioia ancora
305ha le lagrime sue.
 CESARE
                                   Pompeo felice,
 invidio il tuo morir, se fu bastante
 a farti meritar Catone amico.
 EMILIA
 Di sì nobile invidia
 no, capace non sei tu che potesti
310contro la patria tua rivolger l'armi.
 FULVIO
 Signor, questo non parmi
 tempo opportuno a favellar di pace.
 Chiede l'affar più solitaria parte
 e mente più serena.
 CATONE
                                       Al mio soggiorno
315dunque in breve io vi attendo. E tu frattanto
 pensa, Emilia, che tutto
 lasciar l'affanno in libertà non dei,
 giacché ti fe' la sorte
 figlia a Scipione ed a Pompeo consorte.
 
320   Si sgomenti alle sue pene
 il pensier di donna imbelle
 che vil sangue ha nelle vene,
 che non vanta un nobil cor.
 
    Se lo sdegno delle stelle
325tollerar meglio non sai,
 arrossir troppo farai
 e lo sposo e il genitor. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 CESARE, EMILIA e FULVIO
 
 CESARE
 Tu taci, Emilia? In quel silenzio io spero
 un principio di calma.
 EMILIA
330T'inganni; allorch'io taccio,
 medito le vendette.
 FULVIO
                                      E non ti plachi
 d'un vincitor sì generoso a fronte?
 EMILIA
 Io placarmi! Anzi sempre in faccia a lui,
 se fosse ancor di mille squadre cinto,
335dirò che l'odio e che lo voglio estinto.
 CESARE
 
    Nell'ardire che il seno ti accende,
 così bello lo sdegno si rende
 che in un punto mi desti nel petto
 meraviglia, rispetto e pietà.
 
340   Tu m'insegni con quanta costanza
 si contrasti alla sorte inumana
 e che sono ad un'alma romana
 nomi ignoti timore e viltà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 EMILIA e FULVIO
 
 EMILIA
 Quanto da te diverso
345io ti riveggo, o Fulvio! E chi ti rese
 di Cesare seguace, a me nemico?
 FULVIO
 Allorch'io servo a Roma,
 non son nemico a te. Troppo ho nell'alma
 de' pregi tuoi la bella immago impressa;
350e s'io men di rispetto
 avessi al tuo dolor, direi che ancora
 Emilia m'innamora,
 che adesso ardo per lei qual arsi pria
 che la sventura mia
355a Pompeo la donasse; e le direi
 che è bella anche nel duolo agli occhi miei.
 EMILIA
 Mal si accordano insieme
 di Cesare l'amico
 e l'amante d'Emilia. O lui difendi;
360o vendica il mio sposo; a questo prezzo
 ti permetto che m'ami.
 FULVIO
                                             (Ah che mi chiede!
 Si lusinghi).
 EMILIA
                          Che pensi?
 FULVIO
 Penso che non dovresti
 dubitar di mia fé.
 EMILIA
                                    Dunque sarai
365ministro del mio sdegno?
 FULVIO
                                                 Un tuo comando
 prova ne faccia.
 EMILIA
                                Io voglio
 Cesare estinto. Or posso
 di te fidarmi?
 FULVIO
                             Ogni altra man sarebbe
 men fida della mia.
 EMILIA
                                       Questo per ora
370da te mi basta. Inosservati altrove
 i mezzi a vendicarmi
 sceglier potremo.
 FULVIO
                                   Intanto
 potrò spiegarti almeno
 tutti gli affetti miei.
 EMILIA
                                       Non è ancor tempo
375che tu parli d'amore e ch'io t'ascolti.
 Pria s'adempia il disegno e allor più lieta
 forse ti ascolterò. Qual mai può darti
 speranza un'infelice,
 cinta di bruno ammanto,
380con l'odio in petto e su le ciglia il pianto?
 FULVIO
 
    Piangendo ancora
 rinascer suole
 la bella aurora
 nunzia del sole
385e pur conduce
 sereno il dì.
 
    Tal fra le lagrime
 fatta serena,
 può da quest'anima
390fugar la pena
 la cara luce
 che m'invaghì. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 EMILIA
 
 EMILIA
 Se gli altrui folli amori ascolto e soffro
 e s'io respiro ancor dopo il tuo fato,
395perdona, o sposo amato,
 perdona; a vendicarmi
 non mi restano altr'armi. A te gli affetti
 tutti donai, per te li serbo; e, quando
 termini il viver mio, saranno ancora
400al primo nodo avvinti,
 se è ver ch'oltre la tomba aman gli estinti.
 
    O nel sen di qualche stella
 o sul margine di Lete
 se mi attendi, anima bella,
405non sdegnarti, anch'io verrò.
 
    Sì, verrò; ma voglio pria
 che preceda all'ombra mia
 l'ombra rea di quel tiranno
 che a tuo danno il mondo armò. (Parte)
 
 SCENA IX
 
  Fabbriche in parte rovinate, vicino al soggiorno di Catone.
 
 CESARE e FULVIO
 
 CESARE
410Giunse dunque a tentarti
 d'infedeltade Emilia? E tanto spera
 dall'amor tuo?
 FULVIO
                              Sì; ma per quanto io l'ami,
 amo più la mia gloria.
 Infido a te mi finsi
415per sicurezza tua. Così palesi
 saranno i suoi disegni.
 CESARE
                                            A Fulvio amico
 tutto fido me stesso. Or, mentre io vado
 il campo a riveder, qui resta e siegui
 il suo core a scoprir.
 FULVIO
                                       Tu parti?
 CESARE
                                                           Io deggio
420prevenire i tumulti
 che la tardanza mia destar potrebbe.
 FULVIO
 E Catone?
 CESARE
                      A lui vanne e l'assicura
 che, pria che giunga a mezzo corso il giorno,
 a lui farò ritorno.
 FULVIO
                                  Andrò; ma veggo
425Marzia che viene.
 CESARE
                                   In libertà mi lascia
 un momento con lei; finora invano
 la ricercai. T'è noto...
 FULVIO
                                         Io so che l'ami,
 so che t'adora anch'ella; e so per prova
 qual piacer si ritrova
430dopo lunga stagion nel dolce istante
 che rivede il suo bene un fido amante. (Parte)
 
 SCENA X
 
 MARZIA e CESARE
 
 CESARE
 Pur ti riveggo, o Marzia. Agli occhi miei
 appena il credo e temo
 che per costume a figurarti avvezzo
435mi lusinghi il pensiero. Oh quante volte,
 fra l'armi e le vicende in cui m'avvolse
 l'incostante fortuna, a te pensai!
 E tu spargesti mai
 un sospiro per me? Rammenti ancora
440la nostra fiamma? Al par di tua bellezza
 crebbe il tuo amore o pur scemò? Qual parte
 hanno gli affetti miei
 negli affetti di Marzia?
 MARZIA
                                             E tu chi sei?
 CESARE
 Chi sono! E qual richiesta! È scherzo? È sogno?
445Così tu di pensiero
 o così di sembianza io mi cangiai?
 Non mi ravvisi?
 MARZIA
                                 Io non ti vidi mai.
 CESARE
 Cesare non vedesti?
 Cesare non ravvisi?
450Quello che tanto amasti,
 quello a cui tu giurasti
 per volger d'anni o per destin rubello
 di non essergli infida?
 MARZIA
                                            E tu sei quello?
 No, tu quello non sei; ne usurpi il nome.
455Un Cesare adorai, nol niego; ed era
 della patria il sostegno,
 l'onor del Campidoglio,
 il terror de' nemici,
 la delizia di Roma,
460del mondo intier dolce speranza e mia;
 questo Cesare amai, questo mi piacque,
 pria che l'avesse il ciel da me diviso;
 questo Cesare torni e lo ravviso.
 CESARE
 Sempre l'istesso io sono; e se al tuo sguardo
465più non sembro l'istesso, o pria l'amore
 o t'inganna or lo sdegno. All'armi, all'ire
 mi spinse a mio dispetto,
 più che la scelta mia, l'invidia altrui.
 Combattei per difesa. A te dovevo
470conservar questa vita; e, se pugnando
 scorsi poi vincitor di regno in regno,
 sperai farmi così di te più degno.
 MARZIA
 Molto ti deggio inver. Se ingiusta offesi
 il tuo cor generoso, a me perdona.
475Io semplice finora
 sempre credei che si facesse guerra
 solamente a' nemici e non spiegai
 come pegni amorosi i tuoi furori;
 ma in avvenir l'affetto
480d'un grand'eroe, che viva innamorato,
 conoscerò così. Barbaro, ingrato!
 CESARE
 Che far di più dovrei? Supplice io stesso
 vengo a chiedervi pace,
 quando potrei... Tu sai...
 MARZIA
                                               So che con l'armi
485però la chiedi.
 CESARE
                             E disarmato all'ira
 de' nemici ho da espormi?
 MARZIA
                                                   Eh di' che il solo
 impaccio al tuo disegno è il padre mio;
 di' che lo brami estinto e che non soffri
 nel mondo, che vincesti,
490che sol Catone a soggiogar ti resti.
 CESARE
 Or m'ascolta e perdona
 un sincero parlar. Quanto me stesso
 io t'amo, è ver; ma la beltà del volto
 non fu che mi legò; Catone adoro
495nel sen di Marzia; il tuo bel core ammiro
 come parte del suo; qua più mi trasse
 l'amicizia per lui che il nostro amore.
 E se, lascia ch'io possa
 dirti ancor più, se m'imponesse un nume
500di perdere un di voi, morir d'affanno
 nella scelta potrei;
 ma Catone e non Marzia io salverei.
 MARZIA
 Ecco il Cesare mio. Comincio adesso
 a ravvisarlo in te. Così mi piaci;
505così m'innamorasti. Ama Catone,
 io non ne son gelosa. Un tal rivale
 se divide il tuo core,
 più degno sei ch'io ti conservi amore.
 CESARE
 Quest'è troppa vittoria. Ah mal da tanta
510generosa virtude io mi difendo.
 Ti rassicura; io penso
 al tuo riposo; e, pria che cada il giorno,
 dall'opre mie vedrai
 che son Cesare ancora e che t'amai.
 
515   Chi un dolce amor condanna
 vegga la mia nemica;
 l'ascolti e poi mi dica
 se è debolezza amor.
 
    Quando da sì bel fonte
520derivano gli affetti,
 vi son gli eroi soggetti,
 amano i numi ancor. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 MARZIA, poi CATONE
 
 MARZIA
 Mie perdute speranze,
 rinascer tutte entro il mio sen vi sento.
525Chi sa. Gran parte ancora
 resta di questo dì. Placato il padre
 se all'amistà di Cesare si appiglia,
 non mi avrà forse Arbace.
 CATONE
                                                  Andiamo, o figlia.
 MARZIA
 Dove?
 CATONE
                Al tempio, alle nozze
530del principe numida.
 MARZIA
                                          (Oh dei!) Ma come
 sollecito così?
 CATONE
                            Non soffre indugio
 la nostra sorte.
 MARZIA
                              (Arbace infido!) All'ara
 forse il prence non giunse.
 CATONE
                                                   Un mio fedele
 già corse ad affrettarlo. (In atto di partire)
 MARZIA
                                              (Ah che tormento!)
 
 SCENA XII
 
 ARBACE e detti
 
 ARBACE
535Deh t'arresta, o signor.
 MARZIA
                                            (Sarai contento). (Piano ad Arbace)
 CATONE
 Vieni, o principe, andiamo
 a compir l'imeneo. Potea più pronto
 donar quanto promisi?
 ARBACE
                                             A sì gran dono
 è poco il sangue mio; ma, se pur vuoi
540che si renda più grato, all'altra aurora
 differirlo ti piaccia. Oggi si tratta
 grave affar co' nemici e il nuovo giorno
 tutto al piacer può consacrarsi intero.
 CATONE
 No; già fumano l'are,
545son raccolti i ministri ed importuna
 sarebbe ogni dimora.
 ARBACE
 (Marzia, che deggio far?) (Piano a Marzia)
 MARZIA
                                                  (Mel chiedi ancora?) (Piano ad Arbace)
 ARBACE
 Il più, signor, concedi
 e mi contendi il meno?
 CATONE
                                             E tanto importa
550a te l'indugio?
 ARBACE
                             Oh dio!... Non sai... (Che pena!)
 CATONE
 Ma qual freddezza è questa? Io non l'intendo.
 Fosse Marzia l'audace
 che si oppone a' tuoi voti? (Ad Arbace)
 MARZIA
                                                   Io! Parli Arbace.
 ARBACE
 No, son io che ti prego.
 CATONE
                                            Ah qualche arcano
555qui si nasconde. (Ei chiede... (Da sé)
 poi ricusa la figlia... Il giorno istesso
 che vien Cesare a noi, tanto si cangia...
 Sì lento... Sì confuso... Io temo...) Arbace,
 non ti sarebbe già tornato in mente
560che nascesti africano?
 ARBACE
                                           Io da Catone
 tutto sopporto e pure...
 CATONE
 E pure assai diverso
 io ti credea.
 ARBACE
                         Vedrai...
 CATONE
                                           Vidi abbastanza;
 e nulla ormai più da veder m'avanza. (Parte)
 ARBACE
565Brami di più, crudele? Ecco adempito
 il tuo comando; ecco in sospetto il padre
 ed eccomi infelice. Altro vi resta
 per appagarti?
 MARZIA
                              Ad ubbidirmi, Arbace,
 incominciasti appena e in faccia mia
570già ne fai sì gran pompa?
 ARBACE
                                                 Oh tirannia!
 
 SCENA XIII
 
 EMILIA e detti
 
 EMILIA
 In mezzo al mio dolore a parte anch'io
 son de' vostri contenti, illustri sposi.
 Ecco acquista in Arbace
 il suo vindice Roma; e cresceranno
575generosi nemici al mio tiranno.
 ARBACE
 Riserba ad altro tempo
 gli auguri, Emilia; è ancor sospeso il nodo.
 EMILIA
 Si cangiò di pensiero
 Catone o Marzia?
 ARBACE
                                   Eh non ha Marzia un core
580tanto crudele; ella per me sospira
 tutta costanza e fede;
 dai guardi suoi, dal suo parlar si vede.
 EMILIA
 Dunque il padre mancò.
 ARBACE
                                               Né pur.
 EMILIA
                                                                Chi è mai
 cagion di tanto indugio?
 MARZIA
                                               Arbace il chiede.
 EMILIA
585Tu, prence?
 ARBACE
                         Io, sì.
 EMILIA
                                      Perché?
 ARBACE
                                                       Perché desio
 maggior prova d'amor, perché ho diletto
 di vederla penare.
 EMILIA
                                    E Marzia il soffre?
 MARZIA
 Che posso far? Di chi ben ama è questa
 la dura legge.
 EMILIA
                            Io non l'intendo e parmi
590il vostro amore inusitato e nuovo.
 ARBACE
 Anch'io poco l'intendo e pur lo provo.
 
    È in ogni core
 diverso amore.
 Chi pena ed ama
595senza speranza;
 dell'incostanza
 chi si compiace;
 questo vuol guerra,
 quello vuol pace;
600v'è fin chi brama
 la crudeltà.
 
    Fra questi miseri
 se vivo anch'io,
 ah non deridere
605l'affanno mio,
 che forse merito
 la tua pietà! (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 MARZIA ed EMILIA
 
 EMILIA
 Se manca Arbace alla promessa fede,
 è Cesare l'indegno
610che l'ha sedotto.
 MARZIA
                                I tuoi sospetti affrena;
 è Cesare incapace
 di cotanta viltà, benché nemico.
 EMILIA
 Tu nol conosci; è un empio; ogni delitto,
 pur che giovi a regnar, virtù gli sembra.
 MARZIA
615E pur sì fidi e numerosi amici
 adorano il suo nome.
 EMILIA
                                         È de' malvagi
 il numero maggior. Gli unisce insieme
 delle colpe il commercio; indi a vicenda
 si soffrono tra loro; e i buoni anch'essi
620si fan rei coll'esempio o sono oppressi.
 MARZIA
 Queste massime, Emilia,
 lasciam per ora e favelliam fra noi.
 Dimmi; non prese l'armi
 lo sposo tuo per gelosia d'impero?
625E a te, palesa il vero,
 questa idea di regnar forse dispiacque?
 Se era Cesare il vinto,
 l'ingiusto era Pompeo. La sorte accusa.
 È grande il colpo, il veggio anch'io; ma alfine
630non è reo d'altro errore
 che d'esser più felice il vincitore.
 EMILIA
 E ragioni così? Che più diresti
 Cesare amando? Ah ch'io ne temo; e parmi
 che il tuo parlar lo dica.
 MARZIA
635E puoi creder che l'ami una nemica?
 EMILIA
 
    Un certo non so che
 veggo negli occhi tuoi;
 tu vuoi che amor non sia,
 sdegno però non è.
 
640   Se fosse amor, l'affetto
 estingui o cela in petto;
 l'amar così saria
 troppo delitto in te. (Parte)
 
 SCENA XV
 
 MARZIA
 
 MARZIA
 Ah troppo dissi; e quasi tutto Emilia
645comprese l'amor mio. Ma chi può mai
 sì ben dissimular gli affetti sui
 che gli asconda per sempre agli occhi altrui?
 
    È follia se nascondete,
 fidi amanti, il vostro foco;
650a scoprir quel che tacete
 un pallor basta improvviso,
 un rossor che accenda il viso,
 uno sguardo ed un sospir.
 
    E se basta così poco
655a scoprir quel che si tace,
 perché perder la sua pace
 con ascondere il martir? (Parte)
 
 Fine dell’atto primo